La rete ha cambiato il modo in cui vengono prodotte, messe in circolazione e fruite le informazioni. Il digitale ha superato l’analogico. Internet e i social hanno cambiato la natura del rapporto tra giornalisti e pubblico. Spesso però i protagonisti di questa rivoluzione non se ne accorgono; continuano a comportarsi come se si trovassero nel campo giornalistico descritto da Pierre Bourdieu, mentre l’ambiente di lavoro attuale è molto più simile alle filter bubble di Eli Pariser e probabilmente è già oltre. Siamo passati da un ecosistema comunicativo unidirezionale ad uno negoziato. Un paradigma ancora fluido nel quale però il ruolo dei giornalisti nell’informazione è messo a dura prova ed è costretto a ridefinirsi. Internet ha disintermediato il sistema dell’informazione, cambiando il modo in cui si cercano, si confezionano, si veicolano e si discutono le notizie. Nuovi linguaggi, nuove regole, nuove professionalità, una diversa organizzazione del lavoro. Nessun mezzo si sottrae a questa rivoluzione: dai giornali alle Tv, dalle radio agli stessi siti di informazione continuamente alle prese con nuove sfide. Fondamentale, per rimanere autorevoli in un mondo sempre più affollato di comunicatori, è il rigore nel metodo di lavoro e nella realizzazione del prodotto giornalistico, anche sul piano della tecnica e dei linguaggi. Nel tempo di internet e delle piattaforme, degli algoritmi e dei social, di fronte a questioni come le fake news, diventano centrali la qualità, l’affidabilità dell’informazione e la capacità di fornire letture interpretative e costruire relazioni significative. Si apre lo spazio per un giornalismo di elevata professionalità e rigore nella selezione e nella verifica delle fonti e delle notizie. Un giornalismo in grado di porsi come riferimento autorevole e di far dialogare le camere dell’eco costruite dai social, ridurre la polarizzazione, reintrodurre elementi di razionalità e di lettura connettiva nel dibattito pubblico. Opportunità e rischi che l’emergenza Covid ha pienamente confermato. In questo panorama un ruolo decisivo spetta al servizio pubblico: meno esposto al mercato, libero di sperimentare, ma ancorato a solidi principi deontologici e di etica pubblica, potrebbe diventare la bussola per ritrovare la rotta nel mare agitato dell’informazione nel tempo di internet, dei social e della post verità. Ma per farlo dovrà ricalibrare l’offerta informativa, oggi concentrata sui mezzi offline e diretta soprattutto alla popolazione anziana e istruita. Dovrà navigare nel mare dell’informazione online, tenendo conto dell’estrema concorrenza e varietà dell’offerta, da una parte, e dei vincoli imposti dalla diffusione e dalla fruizione delle notizie tramite le piattaforme. Pena, come sottolinea un interessante e recente rapporto del Reuters Institute, il declino, l’irrilevanza e la conseguente impossibilità di svolgere il compito di servizio pubblico di informazione.